Tommaso Campanella: “Non riusciranno a farmi tacere” (di Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

Tommaso Campanella, calabrese di Stilo, fu esteta e poeta, metafisico e fisiologo, medico e moralista, astronomo ed economista, politico ed astrologo, teologo e matematico ma soprattutto una mente inquieta e visionaria: la “sua fecondità e la sua ispirazione, spesso languenti nei periodi di libertà e quasi sommerse da troppi entusiasmi, nel carcere si potenziano e si moltiplicano: se il corpo incatenato non può agire, la mente libera ed indomabile spazia senza confini” (Luigi Firpo, Bibliografia degli scritti di Tommaso Campanella).

La summa di queste sue caratteristiche si rivela compiutamente nell’opera che rappresenta al meglio la prospettiva utopica del pensatore calabrese, La città del sole, pubblicata per la prima volta a Francoforte nel 1623 col titolo Civitas Solis. Idea repubblicae philosophicae.

La città immaginata da Campanella si trova nell’immaginaria isola di Taprobana (luogo fantastico e favoloso, forse corrispondente a Sumatra o all’odierno Sri Lanka, sulla cui esatta ubicazione si cominciò a speculare già nell’antichità e di cui si interessarono anche Tolomeo e Vespucci).

I suoi abitanti lavorano solo quattro ore al giorno e impiegano il tempo restante in attività gioiose e divertenti ma sempre finalizzate alla conoscenza.

La comunità di Taprobana investe molto sull’educazione dei bambini che, al pari degli adulti, vengono spinti a imparare giocando.

Il risultato di questo continuo ed illuminato processo formativo è una vita senza egoismi, violenza, guerre e fame.

Un’utopia, appunto.

La morale e le logiche di potere imperanti al tempo di Campanella non erano fatte tuttavia per tollerare utopie, aneliti di libertà e ribellismi di alcun genere.

Campanella pagò un prezzo pesante per la sua divergenza religiosa, ideologica e intellettuale.

Subì nel corso della sua vita ben cinque processi e trascorse quasi trent’anni in carcere per le sue idee e i suoi scritti ma principalmente perché voleva comprendere e verificare quanto lo circondava: “essendo inquieto, perché mi sembrava una verità non sincera, o piuttosto falsità in luogo della verità rimanere nel Peripato, esaminai tutti i commentatori d’Aristotele, i greci, i latini e gli arabi; e cominciai a dubitare ancor più dei loro dogmi, e perciò volli indagare se le cose ch’essi dicevano fossero nella natura, che io avevo imparato dalle dottrine dei sapienti essere il vero codice di Dio. E poiché i miei maestri non potevano rispondere alle mie obiezioni contro i loro insegnamenti, decisi di leggere da me tutti i libri di Platone, di Plinio, di Galeno, degli stoici, dei seguaci di Democrito e principalmente i Telesiani, e metterli a confronto con il primo codice del mondo per sapere, attraverso l’originale e autografo, quanto le copie contenessero di vero o di falso” (T. Campanella, Syntagma de libris propriis et recta ratione studendi, I).

La storia dei suoi processi è raccontata nel libro di Luigi Firpo, I processi di Tommaso Campanella, Roma 1998.

Tra le curiosità troviamo che Campanella, dopo essersi finto pazzo nelle carceri di Castello Nuovo, riferendosi agli inquisitori, disse ad un aguzzino: “Che si pensavano che io era coglione, che voleva parlare?” (pagina 267).

Il motto inciso sul simbolo personale di Campanella (una campanella che allude alla necessità di svegliarsi dal sonno dell’ignoranza e dall’accidia) è: “Non tacebo“, cioè “Non tacerò“, o meglio, “Non riusciranno a farmi tacere” (pagina 18).

A noi di Terzultima Fermata piace Campanella e tra i suoi pensieri, tratti da Aforismi politici, a cura di A. Cesaro, Guida, Napoli 1997, ricordiamo in particolare:  “Io nacqui a debellar tre mali estremi: tirannide, sofismi, ipocrisia” e “Le leggi ottime sono poche e brevi che s’accordano al costume del popolo e al bene comune. Le leggi tiranniche sono molti lacciuoli che ad uno o a pochi sono utili, e non s’accordano col costume pubblico, purché crescano gli pochi autori di esse.