
Tra le tante folgoranti scene di Fontamara di Ignazio Silone c’è quella della schedatura ideologica dei “cafoni” fatta dai militi fascisti.
La scrisse così:
Il primo a essere chiamato fu proprio Teofilo il sacrestano. – Chi evviva? Gli domandò bruscamente l’omino con la fascia tricolore. Teofilo sembrò cadere dalle nuvole. – Chi evviva? – ripeté irritato il rappresentante delle autorità. Teofilo girò il volto spaurito verso di noi, come per avere un suggerimento, ma ognuno di noi ne sapeva quanto lui. E siccome il poveraccio continuava a dar segni di non saper rispondere, l’omino si rivolse a Filippo il Bello che aveva un gran registro tra le mani e gli ordinò: Scrivi accanto al suo nome “refrattario”. Teofilo se ne andò costernato.
Il secondo a essere chiamato fu Anacleto il sartore. Chi evviva? Gli domandò il panciuto. Anacleto che aveva avuto il tempo di riflettere rispose: “Evviva Maria”. “Quale Maria?” Anacleto rifletté un po’, sembrò esitare e poi precisò: “Quella di Loreto”. Scrivi, ordinò l’omino al cantoniere con voce sprezzante “refrattario”. Anacleto non voleva andarsene via: egli si dichiarò disposto a menzionare la Madonna di Pompei, piuttosto che quella di Loreto; ma fu spinto via in malo modo.
Il terzo ad essere chiamato fu il vecchio Braciola. Anche lui aveva la risposta pronta e gridò: “Viva San Rocco“. Ma neppure quella risposta soddisfece l’omino che ordinò al cantoniere: Scrivi “refrattario”.
Fu il turno di Cipolla. Chi evviva? Gli fu domandato. Scusate, cosa significa? Egli si azzardò a chiedere. Rispondi sinceramente quello che pensi, gli ordinò l’omino. Chi evviva? “Evviva il pane e il vino” fu la risposta sincera di Cipolla. Anche lui fu segnato come “refrattario”.
Ognuno di noi aspettava il suo turno e nessuno sapeva indovinare che cosa il rappresentante dell’autorità volesse che noi rispondessimo alla sua strana domanda di chi evviva. La nostra maggiore preoccupazione naturalmente era se, rispondendo male, si dovesse pagare qualcosa. Nessuno di noi sapeva che cosa significasse refrattario; ma era più che verosimile che volesse dire deve pagare. Un pretesto insomma, come un altro per appiopparci una nuova tassa. Per conto mio cercai di avvicinarmi a Baldisserra, che era di noi la persona più istruita e conosceva le cerimonia, per essere da lui consigliato sulla risposta; ma lui mi guardò con un sorriso di compassione, come di chi la sa lunga, però solo per conto suo.
Chi evviva? Chiese a Baldisserra. Il vecchio scarparo si tolse il cappello e gridò: “Evviva la Regina Margherita“. L’effetto non fu del tutto quello che Baldisserra si aspettava. I militi si misero a ridere e l’omino fece osservare: “E’ morta. La Regina Margherita è già morta”. E’ morta, chiese Baldisserra addoloratissimo, impossibile. Scrivi fece l’omino a Filippo il Bello con un sorriso di disprezzo “costituzionale”. Baldisserra se ne partì scuotendo la testa per quel susseguirsi di avvenimenti inesplicabili,
A lui seguì Antonio la Zappa, il quale, opportunamente istruito da Berardo, gridò: “Abbasso i ladri”. E provocò le proteste generali degli uomini neri che la presero per un’offesa personale. Scrivi fece il panciuto a Filippo il Bello “anarchico”.
La Zappa se ne andò ridendo e fu la volta di Spaventa. “Abbasso i vagabondi” gridò Spaventa, sollevando nuovi urli nelle file degli esaminatori. E anche lui fu segnato come “anarchico”.
Chi evviva domandò il panciuto a Della Croce. Anche lui era però uno scolaro di Berardo e non sapeva dire evviva, ma solo abbasso. E perciò rispose: “Abbasso le tasse“. E quella volta, bisogna dirlo a onor del vero, gli uomini neri e l’omino non protestarono. Ma anche Della Croce fu segnato come “anarchico”, perché, spiegò l’omino, “certe cose non si dicono”.
Maggiore impressione fece Raffaele Scarpone, gridando quasi sul muso del rappresentante della legge: “Abbasso chi ti dà la paga“. L’omino ne fu esterrefatto, come per un sacrilegio, e voleva farlo arrestare; ma Raffaele aveva avuto cura di pronunziarsi solo dopo essere uscito dal quadrato, e in due salti sparì dietro la chiesa e nessuno lo vide più.
Col Losurdo riprese la sfilata delle persone prudenti. “Viva tutti” egli rispose ridendo ed era difficile immaginare risposta più prudente; ma non fu apprezzata. Scrivi, disse l’omino a Filippo il Bello “liberale”.
“Viva il governo” gridò Uliva col massimo di buona volontà. Quale Governo? Chiese incuriosito Filippo il Bello. Uliva non aveva mai sentito che esistevano diversi governi, ma per educazione rispose: “quello legittimo“. Scrivi fece allora il panciuto al cantoniere “perfido”.
Pilato volle fare una speculazione, e siccome fu la sua volta, gridò anche lui: “viva il Governo“. Quale governo? Chiese allarmato Filippo il Bello. “Il Governo illegittimo“. Scrivi comandò il ventruto cantoniere “mascalzone”.
Insomma, ancora nessuno era riuscito ad azzeccare la risposta soddisfacente. A mano a mano che aumentavano le risposte riprovevoli si restringeva la libertà di scelta per noi che restavamo da esaminare. Ma la cosa veramente importante che rimaneva oscura, era se rispondendo male si dovesse pagare qualcosa e quanto.
Solo Berardo mostrava di non avere questa preoccupazione e si divertiva a suggerire ai giovanotti suoi amici risposte insolenti di abbasso e non di evviva.
“Abbasso la Banca” gridò Venerdì Santo. Quale banca gli chiese Filippo il Bello. Ce n’è una sola e dà i soldi soltanto all’Impresario rispose Venerdì da bene informato. Scrivi fece l’omino al cantoniere “comunista”.
Come comunista fu anche registrato Gasparone che, alla domanda chi evviva, rispose: “abbasso Torlonia”. Invece Palummo fu registrato come socialista per aver risposto cortesemente “Viva i poveri”.

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