Detenzione di sostanze stupefacenti: preclusa la possibilità di confisca delle somme di denaro a titolo di profitto del reato (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 6 con la sentenza numero 37720 depositata il 5 ottobre 2022 ha ribadito che in caso di contestazione di detenzione di sostanze stupefacenti le somme sequestrate non costituiscono profitto del reato e non sono confiscabili.

Rappresenta un principio derivabile dalla finalità stessa della misura di sicurezza patrimoniale (attenuare il rischio di ricaduta nel reato) che, perché possa confiscarsi un oggetto, tra questo ed il fatto commesso debba intercorrere uno stretto nesso di pertinenzialità, tale che il bene rappresenti lo strumento mediante il quale il reato è stato realizzato oppure ne costituisca il profitto, prezzo o prodotto.

Questa esigenza, logica prim’ancora che giuridica, ha indotto il giudice di legittimità a delimitare, nel caso di c.d. “fatto lieve” (e, cioè, al di fuori delle ipotesi di c.d. confisca di valore, disposta, dall’art. 73, comma 7-bis, TU stup., in relazione al comma 1), le condizioni in presenza delle quali il denaro è espropriabile da parte dello Stato, quante volte all’imputato sia ascritta la sola condotta di detenzione, e non anche la cessione, di sostanze stupefacenti

La Suprema Corte sottolinea che nell’ipotesi di cui al quinto comma dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, è possibile procedere alla confisca del danaro trovato in possesso dell’imputato solo in presenza dei presupposti di cui all’art. 240, primo comma, cod. pen. e non ai sensi dell’art. 85 bis d.P.R. n. 309/90 o dell’art. 240 bis cod. pen. (già art. 12 sexies decreto-legge n. 356/1992) (cfr.: Sez.4, n. 40912 del 19/09/2016, Rv. 267900; Sez. 6, n. 55852 del 17/10/2017, Rv. 272204).

L’art. 240 cod. pen. prevede la confisca delle cose che costituiscono il profitto del reato, che è rappresentato dal lucro, cioè dal vantaggio economico che si ricava, direttamente o indirettamente, dalla sua commissione (Sez. U, n. 9149 del 03/07/1996, Rv. 205707).

In tale prospettiva, si è inoltre chiarito che non sono confiscabili le somme che, in ipotesi, costituiscono il ricavato di precedenti diverse cessioni di droga e sono destinate ad ulteriori acquisti della medesima sostanza, non potendo le stesse qualificarsi né come “strumento”, né quale “prodotto”, “profitto” o “prezzo” del reato» (Sez. 6, n. 55852 del 17/10/2017, Rv. 272204. Tra le altre, vd. anche Sez. 3, n. 2444 del 23/10/2014, dep. 2015, Rv. 262399; Sez. 6, n. 13049 del 05/03/2013, Rv. 254881)

La sentenza impugnata sostiene che la somma rinvenuta nella disponibilità dell’imputato sarebbe il «provento/profitto della cessione onerosa a terzi dello stupefacente», indiziariamente dimostrata dalla mancata giustificazione circa la provenienza, dal sequestro di un’agenda con l’indicazione di nominativi e dall’assenza dì attività lavorativa lecita.

Si deve rilevare, tuttavia, che all’imputato è stata contestata solo la detenzione di sostanza stupefacente, sicché l’imputazione di vendita – cui sarebbe correlabile il possesso della somma sequestrata – è del tutto estranea all’oggetto del procedimento.

Ne deriva che, anche se la somma rinvenuta nella disponibilità dell’imputato fosse provento di spaccio di sostanze stupefacenti, non si tratterebbe comunque del profitto del reato in contestazione, ma del profitto di altre, pregresse, condotte illecite di cessione di droga.

Viene quindi a mancare il nesso tra il reato ascritto all’imputato e la somma di danaro rinvenuta nella sua disponibilità.

È preclusa, di conseguenza, la possibilità di applicare l’art. 240 cod. pen., che opera esclusivamente con riferimento al provento del reato per il quale l’imputato è stato condannato e non riguardo al provento di altre eventuali condotte illecite, estranee alla dichiarazione di responsabilità.

La cassazione ha ribadito che può procedersi alla confisca del denaro trovato in possesso del responsabile di detenzione di sostanza stupefacente soltanto se è dimostrato un nesso di pertinenzialità fra questa e l’attività oggetto del capo di imputazione, mentre non sono confiscabili le somme che, in ipotesi, costituiscono il ricavato di precedenti diverse cessioni di droga e siano destinate a ulteriori acquisti della medesima sostanza perché le stesse non possono qualificarsi come “strumento”, o quale “prodotto”, o “profitto” o “prezzo” del reato (Sez. 6, n. 55852 del 17/10/2017, Rv. 272204; Sez. 3, n. 2444 del 23/10/2014, Rv. 262399).

La sentenza appare dunque affetta da vizio di motivazione e, prim’ancora, da erronea applicazione della legge penale.

Non essendo tale vizio emendabile dal giudice di legittimità, si impone l’annullamento senza rinvio, sul punto della confisca, della sentenza impugnata.