Reati edilizi: la messa alla prova necessita della demolizione delle opere abusive o del rilascio di un titolo abilitativo in sanatoria (di Riccardo Radi)

La terza sezione penale della Corte di cassazione con la sentenza numero 36822, depositata il 29 settembre 2022, ha esaminato la questione relativa alla dichiarazione di proscioglimento dell’imputato per reati in materia edilizia, senza che questi abbia demolito le opere abusivamente realizzate e, dunque, senza aver eliminato le conseguenze dannose della condotta illecita, violando il disposto dell’art. 168-bis, comma 2, c.p.

La Suprema Corte premette che sebbene l’art. 464-quater, comma 7, c.p.p., preveda il ricorso per cassazione nei confronti del provvedimento con cui il giudice, in accoglimento della richiesta dell’imputato, abbia disposto la sospensione del procedimento con la messa alla prova (Sez. Unite, n. 33216 del, 31/03/2016 – dep. 29/07/2016, Rv. 267237 – 01), ciò tuttavia non esclude la possibilità per il PM, che non vi abbia tempestivamente provveduto, di impugnare la sentenza che definisce il relativo processo con l’adozione della declaratoria, nella specie, di proscioglimento dell’imputato ex art. 464-septies, c.p.p.

I giudici di legittimità rilevano che nel caso esaminato il giudice di merito ha errato a pronunciare sentenza di proscioglimento sulla base della lettura della relazione conclusiva dell’UEPE che aveva preso in carico l’imputato, senza tuttavia valutare se, come pure prevede obbligatoriamente (“in ogni caso”) l’art. 464-bis, comma quarto, lett. b), l’imputato avesse effettivamente demolito l’opera abusiva o ottenuto titolo abilitativo.

Sul punto, in particolare, la Cassazione ha già affermato (Sez. 3, n. 39455 del 10/05/2017 – dep. 28/08/2017, Rv. 271642 – 01) che la preventiva e spontanea demolizione dell’opera abusiva – ovvero la sua riconduzione alla legalità attraverso il rilascio di un legittimo titolo abilitativo in sanatoria – rientra fra le condotte volte alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato che costituiscono il presupposto per il positivo superamento della messa alla prova.

In particolare, nella richiamata decisione, la stessa terza sezione ha evidenziato come la praticabilità della sospensione con messa alla prova nei reati edilizi, formalmente ricompresi nella cornice edittale che consente l’applicazione dell’istituto, passa obbligatoriamente per l’eliminazione delle conseguenze dannose dei reati in questione, “id est” per la preventiva e spontanea demolizione dell’abuso edilizio ovvero per la sua riconduzione alla legalità urbanistica ove ricorrano i presupposti per la cd. sanatoria di (doppia) conformità.

Tali condotte sono pregiudiziali (in senso logico, ma non necessariamente cronologico) rispetto all’affidamento dell’imputato in prova al servizio sociale e alla verifica del suo positivo esito, ed impongono pertanto al giudice di operare un corretto controllo, anche mediante le opportune e necessarie verifiche istruttorie, sul puntuale e integrale raggiungimento dell’obiettivo della eliminazione delle conseguenze del reato edilizio, non potendosi ammettere — come pare essere avvenuto nella fattispecie in esame, senza però che tale profilo, in difetto di impugnazione sul punto, possa essere oggetto di censura da parte della Corte – che venga dichiarata l’estinzione del reato, per compiuta e positiva probation, in presenza di un abuso non completamente demolito o non integralmente sanato (ricorrendone le condizioni) sul piano urbanistico.

In definitiva, dunque, nella materia edilizia la corretta applicazione da parte del giudice sia della sospensione del processo con messa alla prova sia della possibilità di pronunciare sentenza di proscioglimento ex art. 464-septies, c.p.p., passa, doverosamente, per la preventiva verifica della avvenuta effettuazione, da parte dell’imputato, di condotte atte a ripristinare l’assetto urbanistico violato con l’abuso, o mediante la sua piena e integrale demolizione ovvero mediante la sua riconduzione, ove possibile, alla legalità attraverso il rilascio di un legittimo (e dunque non condizionabile all’esecuzione di futuri interventi) titolo abilitativo in sanatoria.