
Non c’è bisogno di sottolineare che agli inizi del Novecento la situazione femminile non era certo quella di oggi e l’idea che le donne dovessero avere le stesse opportunità e gli stessi diritti degli uomini era molto di là da venire.
E tuttavia il 25 luglio del 1906, in direzione ostinatamente contraria rispetto alla sensibilità del tempo, la Corte di appello di Ancona, presieduta da Lodovico Mortara (insigne giurista, avvocato, magistrato e poi Ministro della Giustizia), accordò a dieci donne marchigiane, di professione maestre, il diritto di voto politico.
All’epoca nel nostro Stato votava poco più dell’8 per cento degli uomini italiani. Queste dieci donne marchigiane rimasero iscritte nelle liste elettorali per dieci mesi fino a maggio 1907.
La vicenda del 1906 è emblematica, e su essa è stato scritto anche un libro, un romanzo di Maria Rosa Cutrufelli, intitolato Il giudice delle donne; e il giudice delle donne, in questione, è proprio Lodovico Mortara.
Questo il fatto.
Era il 1906 e una grande intellettuale di quel periodo, Maria Montessori, con una pubblicazione sul giornale La vita, invitò le donne ad iscriversi alle liste elettorali poiché la legge non ne faceva divieto.
Dieci maestre elementari raccolsero questo invito, nove erano di Senigallia, una di Montemarciano. Passarono alla storia come le maestre di Senigallia.
La commissione elettorale della provincia di Ancona accolse le domande di iscrizione alle liste elettorali delle dieci maestre ma contro di esse propose appello la Procura del Regno.
La causa fu trattenuta dal Presidente della Corte prof. Lodovico Mortara, redattore della decisione.
Mortara premise che “La questione deve essere in questa sede esaminata e decisa con la scorta di criteri puramente giuridici”, ovvero con la sola scrupolosa analisi dello Statuto Albertino e della legge elettorale.
Osservò che i diritti politici erano riconosciuti a tutti i regnicoli senza distinzione di sesso dall’art. 4 dello Statuto, e quindi non vi erano ragioni giuridiche per ritenere che anche le donne, in quanto regnicole, non potessero godere dei diritti politici; ed inoltre la legge elettorale non disponeva niente in contrario, ovvero, nello specifico, non escludeva dall’elettorato le donne.
E dunque, concluse Mortara, poiché il diritto elettorale “è a sua volta un diritto politico, il quale alla stregua delle premesse considerazioni spetta a tutti i regnicoli”, esso comprende anche le donne, poiché il silenzio sul punto della legge elettorale va inteso come affermazione del principio generale contenuto nello Statuto, che senza distinzione di sesso attribuisce i diritti politici.
La sentenza, completamente rivoluzionaria per l’epoca, venne subito diffusa dalla stampa a tutto il Paese; ciò rese Mortara noto ai comuni cittadini ma, al tempo stesso, fu avversata da non poche critiche, tra le quali anche quella, assai autorevole, di Vittorio Emanuele Orlando.
Inutile dire che la decisione ebbe vita breve.
La Cassazione di Roma, adita dalla Procura del Regno, l’8 maggio 1907 annullò la sentenza e ordinò la cancellazione dalle liste elettorali delle dieci maestre di Senigallia.
In Cassazione, l’illuminata costruzione giuridica di Mortara fu stravolta: nel silenzio della legge elettorale il diritto politico non poteva essere riconosciuto, poiché il diritto di voto richiedeva una espressa previsione.
Il riconoscimento anche alle donne del diritto elettorale per via giudiziaria, secondo la Cassazione, avrebbe finito per introdurre una novità “non solo nelle disposizioni scritte, ma anche nelle norme, nelle tradizioni sempre riconosciute, che le completano e formano parte integrante”; e quindi non poteva esser concesso.
Ci vollero altri 40 anni ma finalmente, il primo giorno di febbraio del 1945, pochi mesi prima della fine della seconda guerra mondiale, con l’Italia ancora divisa ed il Nord sotto l’occupazione tedesca, il Consiglio dei Ministri, presieduto da Ivanoe Bonomi, emanò il decreto Legislativo Luogotenenziale n. 23 che si intitolava “Estensione alle donne del diritto di voto”.
L’anno seguente le donne poterono esercitare il sacrosanto diritto di voto.
Sarebbe potuto succedere assai prima ma chi comprende le cose prima degli altri difficilmente trova ascolto.

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