
La cassazione sezione 6 con la sentenza numero 33754 depositata il 13 settembre 2022 ha esaminato la questione relativa alla configurabilità della calunnia e della scriminante dell’articolo 51 c.p. nel caso di negazione della verità e il limite entro il quale l’imputato, nel negare la verità delle dichiarazioni accusatone, travalichi il nesso funzionale tra tale negazione e l’attività difensiva.
Secondo un pacifico insegnamento della Corte di cassazione (Sez. 6, n. 1333 del 16/01/1998, Rv. 210648; Sez. 2, n. 2740 del 14/10/2009, dep. 2010, Rv. 246042) l’imputato può negare, anche mentendo, la verità delle dichiarazioni accusatorie mosse nei suoi riguardi, ed in tal caso l’accusa di calunnia, implicita in tale condotta, integra un’ipotesi di legittimo esercizio del diritto di difesa e si sottrae perciò alla sfera di punibilità in applicazione della causa di giustificazione prevista dall’art. 51 cod. pen.
La questione attiene tuttavia alla individuazione del limite entro il quale l’imputato, nel negare la verità delle dichiarazioni accusatone, travalichi il nesso funzionale tra tale negazione e l’attività difensiva.
In alcune pronunce della Corte si afferma che il nesso indicato è superato quando l’imputato non si limiti a ribadire la insussistenza delle accuse a suo carico, ma assuma ulteriori iniziative dirette a coinvolgere l’accusatore – di cui pure si conosce l’innocenza – nella incolpazione specifica, circostanziata e determinata di un fatto concreto, sicché da ciò deriva la possibilità dell’inizio di una indagine penale da parte dell’autorità. (cfr., Sez. 2, n. 14761 del 19/12/2017, dep. 2018, Rv. 272755; Sez. 6, n. 18755 del 16/04/2015, Rv. 263550).
Si è fatto già notare in giurisprudenza come tuttavia non assuma decisiva valenza, al fine di ritenere slegata la dichiarazione accusatoria dall’esercizio del diritto di difesa, che la falsa dichiarazione accusatoria, per essere scriminata, sia “generica” (Sez. 6, n. 1767 del 11/12/2012, dep. 2013, Rv. 254041), “non accompagnata, cioè, da elementi fattuali circostanziali tali da farla apparire come vera” (Sez. 6, n. 26019 del 13/06/2008, Rv. 240930), ovvero che dalle dichiarazioni discenda la “possibilità di inizio di un procedimento penale”, atteso che ove il fatto oggetto della falsa incolpazione fosse strutturalmente inidoneo ad originare un procedimento penale, il reato di calunnia di per sé, oggettivamente, non sussisterebbe e, quindi, il tema della scriminante dell’esercizio del diritto di difesa non avrebbe ragione di porsi.
Pare invece condivisibile l’indirizzo secondo cui il criterio di stretta correlazione funzionale esige che deve essere valutata con riferimento al caso concreto: “essa va esclusa quando il contenuto dell’attività difensiva sia non necessitato, sia cioè non privo di ragionevoli alternative; l’attività decettiva deve essere contenutisticamente vincolata, una volta maturata, da parte dell’interessato, la scelta di contestazione dell’accusa”.
Conclude la Suprema Corte: “L’affermazione infondata di colpa a carico di altri, sia essa esplicita od implicita, deve risultare in sostanza priva di ragionevoli alternative quale mezzo di negazione dell’addebito, a prescindere dal grado della sua specificazione e fermo restando il divieto di ogni attività decettiva che esuli dall’enunciazione della falsa accusa “essenziale” (così, Sez. 6, n. 14042 del 02/10/2014).

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