
La prima sezione penale, con la sentenza n. 32212/2022, emessa in esito all’udienza del 15 giugno 2022, ha affrontato la questione del riconoscimento del vincolo della continuazione tra il reato giudicato in Italia (considerato più grave) ed altro reato giudicato all’estero (ritenuto reato satellite).
Il collegio di legittimità ha rilevato che il giudice della cognizione, procedendo a tale riconoscimento, ha applicato una pena illegale per la parte relativa al reato giudicato all’estero, stante l’impossibilità per il condannato di opporre tale sentenza allo Stato estero che pretenda di eseguire per intero la pena inflitta dal proprio giudice nazionale.
Non si tratta di una novità giurisprudenziale: il difetto di sovranità dello Stato italiano e il conseguente difetto di giurisdizione del giudice penale nella rideterminazione, attraverso l’applicazione della disciplina del reato continuato, della misura della pena inflitta con sentenza definitiva emessa da uno Stato estero, sono già stati affermati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Pen., Sez. I, sentenza n. 17502/2020).
È stato chiarito infatti che deve ritenersi inapplicabile la disciplina della continuazione tra un reato giudicato in Italia e un reato giudicato con sentenza emessa da altro Stato membro dell’Unione europea, trattandosi di decisione non riconosciuta nell’ordinamento italiano a questo effetto.
Si è precisato a tal fine che l’art. 3 D. Lgs. n. 73/2016 «esclude, per le sentenze in questione, la necessità del previo giudizio di riconoscimento (ai sensi dell’art. 730 c.p.p.), allorché si tratti di far assumere rilevanza, in sede di esecuzione in Italia della pena inflitta da sentenza emessa da giudice dello Stato, alle statuizioni contenute nella sentenza estera ai soli fini indicati dalla stessa norma, coincidenti con quelli indicati dall’art. 12, comma 1, n. 1), c.p.
Il riferimento alla “determinazione della pena” si riferisce, con ogni evidenza, alle valutazioni sulla sanzione penale da infliggere nel giudizio di cognizione ovvero per le valutazioni sul punto da compiere nel corso delle indagini preliminari» (Cass. Pen., Sez. 1, sentenza n. 25157 del 22 febbraio 2017, dep. 2018).
E ciò perché le decisioni di condanna emesse da uro Stato membro dell’Unione Europea assumono rilevanza nell’ordinamento giuridico dello Stato anche in fasi diverse (giudizio di cognizione e indagini preliminari) da quella dell’esecuzione della pena.
Peraltro, a conclusioni non dissimili la giurisprudenza di legittimità è pervenuta nell’esaminare l’operatività delle suindicate disposizioni nel caso in cui la sentenza straniera, emessa da uno Stato membro dell’Unione europea, sia stata riconosciuta in Italia, come nel caso in esame.
In proposito, è stato spiegato che è inapplicabile in sede di esecuzione la disciplina della continuazione tra un reato giudicato in Italia e un reato giudicato con sentenza straniera riconosciuta nell’ordinamento italiano, in quanto il vincolo della continuazione non rientra tra le condizioni cui può essere finalizzato il riconoscimento delle sentenze penali straniere, ex art. 12, comma 1, c. p. (Cass. Pen., Sez. V, sentenza n. 8365 del 26/09/2013, dep. 2014, Rv. 259035).
Tale principio di diritto non è venuto meno a seguito dell’entrata in vigore del citato D. Lgs. N. 73/2016, in quanto, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, da cui non v’è ragione di discostarsi: «la disciplina introdotta con il decreto legislativo n. 73/2016 […] non ha introdotto alcuna modifica, laddove all’art. 3, nello stabilire la rilevanza delle decisioni di condanna pronunciate da un’autorità straniera, stabilisce che esse “sono valutate, anche in assenza di riconoscimento e purché non contrastanti con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato, per ogni determinazione sulla pena, per stabilire la recidiva o un altro effetto penale della condanna, ovvero per dichiarare l’abitualità o la professionalità nel reato o la tendenza a delinquere […] E ciò perché il regime del reato continuato non può essere considerato un “effetto penale” della condanna, in quanto presuppone un giudizio di merito […][.
Principio questo consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità sopra citata e formatasi sull’art. 12, comma 1, c.p., che contiene la medesima espressione “effetto penale” riprodotta nella disciplina normativa che ha attuato la decisione quadro 2008/675/GAI» (Cass. Pen., sez. I, sentenza n. 3439 del 21 novembre 2017, dep. 2018).

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