Lo standard probatorio nei giudizi attinenti a sanzioni formalmente amministrative ma sostanzialmente penali (di Vincenzo Giglio)

Fatto

Alcune società vengono sanzionate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) per aver preso parte ad un’intesa restrittiva della concorrenza, in violazione dell’art. 101, § 1, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

Ricorrono al TAR competente e il loro ricorso viene respinto.

Ricorrono quindi in appello dinanzi al Consiglio di Stato (CDS), deducendo plurimi motivi di impugnazione.

La controversia è assegnata alla sesta sezione giurisdizionale del CDS che, dopo avere riunito le posizioni delle varie appellanti, la decide con la sentenza n. 3570/2022 emessa in esito all’udienza del 9 maggio 2022.

Motivazione della decisione

Censure procedurali

Si sintetizzeranno in questo paragrafo le principali censure  di natura procedurale delle ricorrenti e la risposta del CDS con le relative argomentazioni.

  • Sanzione inflitta da un organo invalidamente costituito (due componenti su tre, per l’assenza del presidente). La censura è infondata poiché l’AGCM non è un collegio perfetto e può quindi funzionare con un quorum inferiore al plenum.
  • Invalidità della sanzione per tardiva contestazione dell’illecito (avvenuta oltre i termini fissati dall’art. 14 L. 689/1981). La censura è infondata poiché deve intendersi che il termine di 90 giorni previsto dall’art. 14 decorra non dalla data della violazione ma dal suo accertamento il quale, a sua volta, richiede non la semplice notizia del fatto ma la piena conoscenza della condotta illecita la quale implica il riscontro della sussistenza e della consistenza dell’infrazione e dei suoi effetti. Non è pertanto computabile in quel termine il tempo necessario ai fini dell’acquisizione e della delibazione degli elementi necessari per una matura e legittima formulazione della contestazione.
  • Lesione del diritto alla difesa per le ripetute modifiche dell’oggetto dell’istruttoria. La censura è infondata poiché il principio di necessaria corrispondenza tra addebito contestato e addebito posto a fondamento della sanzione, può ritenersi violato soltanto qualora l’Autorità deduca circostanze nuove, non preventivamente sottoposte a contraddittorio, che implichino una diversa valutazione dei fatti addebitati, salvo si tratti di deduzioni del tutto secondarie che non modifichino in alcun modo il quadro generale della contestazione. Nulla del genere è avvenuto nel caso di specie, risultando una piena corrispondenza tra le contestazioni mosse all’esito dell’istruttoria ed i fatti posti a fondamento delle sanzioni applicate dall’AGCM.
  • Lesione del diritto alla difesa poiché l’AGCM, disponendo del fascicolo del procedimento penale instaurato dall’autorità giudiziaria ordinaria per la medesima vicenda di fatto, se ne sarebbe servita in modo strumentale, estraendone solo i dati di valenza accusatoria e trascurando quelli di segno opposto. La censura è infondata. Né la legge generale sul procedimento amministrativo (ispirato al principio di atipicità dei mezzi istruttori, con il solo limite della loro pertinenza e credibilità), né la specifica disciplina antitrust, contemplano preclusioni in ordine all’utilizzo ai fini istruttori di prove raccolte in un processo penale, a patto che: a) le prove siano state ritualmente acquisite in conformità con le regole di rito che presiedono alla loro acquisizione ed utilizzo; b) sia salvaguardato il diritto di difesa; c) il materiale probatorio formatosi aliunde sia stato oggetto di autonoma attività valutativa (in tal senso la giurisprudenza del Consiglio di Stato, a partire dalle sentenze n. 3197 del 2018 e n. 4211 del 2018). Questi principi si estendono alle intercettazioni, anche sulla scia della giurisprudenza delle Sezioni unite penali (sentenze nn. 27292/2009 e 3271/2013 secondo la quale “il citato art. 270, comma 1, riguarda specificamente il processo penale, deputato all’accertamento delle responsabilità appunto penali che pongono a rischio la libertà personale dell’imputato (o dell’indagato), cosa questa che giustifica l’adozione di limitazioni più stringenti in ordine all’acquisizione della prova, in deroga al principio fondamentale della ricerca della verità materiale. In ragione di tanto, è solo con riferimento ai procedimenti penali che una ipotetica, piena utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni nell’ambito di procedimenti penali diversi da quello per cui le stesse intercettazioni erano state validamente autorizzate contrasterebbe con le garanzie poste dall’art. 15 Cost., a tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni. In relazione poi al profilo della utilizzabilità in concreto, è stato precisato che presupposto per l’utilizzo esterno delle intercettazioni è la legittimità delle stesse nell’ambito del procedimento in cui sono state disposte”. Ognuna di queste condizioni risulta essere stata soddisfatta nel caso di specie e, del resto, la possibilità di utilizzare fonti di prova provenienti dal procedimento penale per accertare violazioni del diritto antitrust è ampiamente ammessa dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani (Corte EDU).

Parte definitoria preliminare alle valutazioni di merito

  1. Necessità di distinguere tra “accordi” e “pratiche concordate” nel significato loro attribuito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE). I  primi consistono nell’espressione della comune volontà di un gruppo di imprese, le seconde corrispondono ad una forma di coordinamento che, senza spingersi alla stipula di un vero e proprio accordo, prende consapevolmente il posto di un’espressa collaborazione tra imprese per sottrarsi ai rischi della concorrenza.
  2. Esistenza di condotte illecite tipiche ed atipiche. Sia il testo normativo europeo che il corrispondente testo di diritto interno (art. 2, L. 287/1990) indicano, a solo scopo semplificativo, alcune pratiche tipiche di restrizione della concorrenza. Ne esistono tuttavia altre atipiche che, tutte insieme considerate, sono accomunate dalla contrarietà ad uno standard di correttezza che impone a tutti gli operatori economici di determinare autonomamente la propria condotta ed astenersi da contatti diretti o indiretti di qualsiasi genere che possano influenzare il comportamento sul mercato di un concorrente, attuale o potenziale, o rivelare a tale concorrente la condotta che essi hanno deciso o intendono seguire sul mercato quando tali contatti abbiano quale scopo o effetto una restrizione della concorrenza.
  3. Distinzione tra intese restrittive per oggetto e per effetto. Le prime hanno un contenuto anticoncorrenziale. Le seconde producono ripercussioni negative sul mercato.
  4. Diverso regime probatorio per le intese restrittive. Le restrizioni per oggetto non richiedono la dimostrazione dei loro effetti distorsivi sul funzionamento del mercato, essendo dannose di per se stesse in quanto determinano riduzioni della produzione, aumenti dei prezzi e una peggiore allocazione delle risorse a svantaggio dei consumatori. Le restrizioni per effetto richiedono invece tale dimostrazione.
  5. Standard probatorio, principio della presunzione d’innocenza e onere della prova. In ogni procedura che possa concludersi con l’inflizione di sanzioni gravi si applica il principio della presunzione d’innocenza posto dall’art. 48, § 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE) e dall’art. 6, § 2, della Convenzione europea dei diritti umani (CEDU). È del resto indubbia la natura penale delle sanzioni irrogate dall’AGCM, sulla base della costante giurisprudenza della Corte EDU a partire dalla sentenza-pilota Engel c. Paesi Bassi. In coerenza a questa premessa, l’art. 2 del Regolamento 1/2003 stabilisce che, ove si contesti una violazione dell’art. 101 TFUE, l’onere della prova spetta a chi ne asserisce l’esistenza e dunque, in questo caso, all’AGCM. La presunzione d’innocenza implica che l’eventuale esistenza di un dubbio deve andare a beneficio dell’impresa alla quale è contestata l’infrazione.
  6. Presunzioni relative. La presunzione d’innocenza non osta all’applicazione di presunzioni relative che consentono di giungere a una certa conclusione sulla base di massime d’esperienza. L’uso di tali presunzioni, senza le quali sarebbe in taluni casi difficile o addirittura impossibile provare l’infrazione, è giustificato dall’esigenza di rendere effettivo il diritto unionale sulla concorrenza. È quindi legittimo raggiungere la dimostrazione perseguita attraverso un complesso di elementi indiziari o di prove indirette.
  7. Prova della restrizione per oggetto. Questa deve riguardare tre condizioni: una concertazione tra le imprese interessate; un loro comportamento sul mercato che dia seguito alla concertazione; un nesso causale tra la concertazione e il comportamento. Se dunque l’AGCM ha provato quanto precede, spetta alle imprese che vi hanno preso parte l’onere di provare di essersene dissociate e di averlo reso noto alle altre imprese partecipanti. Se invece l’AGCM ha provato soltanto un comportamento economico anomalo, è legittimo presumere l’esistenza di una concertazione, spettando alle imprese, ove vogliano contrastarla, l’onere di fornire una spiegazione alternativa plausibile della condotta tenuta. L’onere probatorio dell’AGCM è poi semplificato se sia emersa un’infrazione unica e continuata, cioè una serie di atti che facciano parte di un piano d’insieme ed almeno uno dei quali sia interpretabile come infrazione.
  8. Spettanza della valutazione del grado di intensità della prova. La valutazione sul grado necessario di intensità della prova spetta ai giudici nazionali nel rispetto dei principi generali del diritto unionale, con l’ulteriore vincolo di non adottare criteri probatori che rendano impossibile o troppo difficile l’attuazione del diritto in tema di concorrenza.
  9. Il ragionamento indiziario. La valutazione della prova indiziaria richiede due fasi. La prima richiede l’apprezzamento qualitativo del singolo indizio. La seconda è incentrata sull’esame globale della massa indiziaria e tende a verificare, mediante l’uso dei canoni della gravità, precisione e concordanza, se l’insieme sia in grado di dissipare ogni incertezza e ambiguità. A conclusione di questa doppia valutazione, da compiere e verificare nella pienezza del contraddittorio, può dirsi che la contestazione abbia raggiunto lo stadio della certezza soltanto quando essa risulti l’unica in grado di giustificare i vari elementi probatori raccolti, ovvero la più attendibile rispetto alle altre ipotesi alternative, pure astrattamente prospettabili, ma la cui realizzazione storica, in quanto priva di riscontri significativi nelle emergenze istruttorie, appaia soltanto una eventualità remota.

Conclusioni di merito

Sulla base delle premesse fin qui indicate e delle ulteriori argomentazioni di dettaglio esposte nelle parti della motivazione destinate alle posizioni individuali delle appellanti, il CDS ha parzialmente accolto alcuni appelli limitatamente al trattamento sanzionatorio e ha rigettato nel resto.

Qualche riflessione finale

La decisione qui commentata ha un evidente valore sistematico ed è per ciò stesso apprezzabile per il contributo che offre alla consapevolezza degli operatori economici in ordine al comportamento da tenere in un’economia di mercato concorrenziale e agli obblighi dimostrativi di cui deve farsi carico l’AGCM per rendere legittimo ed immune da censure l’esercizio del suo potere sanzionatorio. Al tempo stesso, è importante la sottolineatura del principio di presunzione di innocenza che segue al riconoscimento dell’appartenenza alla materia penale delle sanzioni irrogabili dalle Autorità.