
Nel corso di quest’anno la Scuola superiore della magistratura (di seguito SSM) ha pubblicato un volume intitolato “Storia della magistratura”.
È un’opera collettiva, messa a disposizione dei lettori alla fine del post, alla cui stesura hanno concorso autorevoli studiosi, magistrati, storici e ricercatori.
Tra gli altri ha collaborato anche Luciano Violante.
È stato magistrato fino al 1983 e poi ordinario di diritto e procedura penale fino al 2009.
Notevole anche il suo impegno politico iniziato come esponente del Partito comunista italiano e proseguito all’interno delle sue varie evoluzioni: è stato ininterrottamente deputato dal 1979 al 2008, presidente della Commissione bicamerale antimafia dal 1996 al 1998, della Camera dei deputati dal 1996 al 2001, della commissione affari costituzionali dal 2006 al 2008.
Da ultimo, nel 2019, Violante è stato nominato presidente della Fondazione Leonardo – Civiltà delle Macchine, emanazione dell’omonima holding italiana che opera come global player nei settori dell’aerospazio, della difesa e della sicurezza.
A questo importante cursus honorum Violante ha affiancato un’intensa attività pubblicistica.
Tra le sue tante opere, ricordo qui “Magistrati”, edita da Einaudi nel 2009.
L’autore citò una notissima frase di Francis Bacon, “I giudici devono essere leoni, ma leoni sotto il trono” e ne trasse spunto per rilevare che “Il rapporto fra politica e giustizia resta difficile ancora oggi. Il trono ambisce a schiacciare i leoni. I leoni manifestano una certa propensione a sedersi sul trono. Solo una solida, laica coscienza istituzionale può garantire il raggiungimento di un equilibrio democratico”.
A questa sua opinione, sempre più intensamente definita nel corso degli anni successivi e affiancata da critiche crescenti al protagonismo di alcuni settori della magistratura e alla loro pretesa di costituirsi in élites di potere, hanno corrisposto reazioni anche piuttosto veementi della controparte.
Si comprende meglio a questo punto che l’inserimento di Violante, sia pure all’ultimo posto dell’elenco, tra gli autori di un’opera patrocinata dalla magistratura e finalizzata a raccontarne la storia è piuttosto sorprendente ed è comunque una notizia.
Sarebbe quindi uno spreco ignorare ciò che ha detto.
È già parecchio significativo il titolo del suo contributo che suona così: “Sull’attuale condizione storico-spirituale della magistratura italiana”. Nessuno, se non forse qualche sparuta cerchia di magistrati iper-idealisti, intravede alcun afflato spirituale nei componenti dell’ordine giudiziario e, d’altro canto, non è minimamente compreso tra i loro doveri funzionali. Eppure Violante la vede così.
Interessa capire perché e il miglior modo è riportare testualmente l’opinione dell’autore, esplicitata in particolare nel paragrafo 8 a sua volta intitolato “La condizione spirituale della magistratura”.
Queste le sue parole: “Per condizione spirituale si intende il complesso dei valori identitari della professione, l’idea che quella istituzione coltiva del proprio ruolo nella Repubblica e del suo modo di porsi nei confronti della società. Settori della magistratura hanno progressivamente concepito sé stessi non come parte della democrazia, ma come protettori della democrazia nei confronti di supposti complotti, nati nella società, nel mondo del business, nei servizi di sicurezza. La politica, secondo questa impostazione sarebbe o imbelle o corriva. La magistratura ha certamente difeso la democrazia da gravi pericoli, con rischi e lutti, ma questo impegno non può costituire il presupposto per autoattribuirsi una funzione generale di protezione. All’autorità giudiziaria spetterebbe non l’accertamento della responsabilità penale per singoli reati, ma il conseguimento di una finalità generale, la lotta alla corruzione, alla mafia, all’immigrazione clandestina, attraverso il perseguimento di persone che rientrano nelle figure del tipo di autore. Il P.M. o il giudice diventano magistrati di scopo: devono punire, duramente, il guidatore sbadato, per ammonire tutti i guidatori, devono sanzionare il politico o il pubblico funzionario accusati di malversazione perché rientrano nel tipo d’autore configurato dal populismo, devono assolvere il cittadino che ha ucciso il ladro. La punizione viene ad assumere tanto una funzione vendicativa quanto una funzione risanatoria, perché l’espulsione dal sistema pubblico di chi rientra nelle categorie sospette avrebbe l’effetto miracoloso di cancellare le disfunzioni. Se poi le disfunzioni permangono è segno non che la cura era sbagliata ma che non si è punito abbastanza e quindi che bisogna rendere le pene più pesanti, i controlli più penetranti, i commissariamenti più diffusi. Sembra che la società abbia perso l’idea che debba essere governate dalla politica, anche perché la politica (a differenza dal secolo scorso) sembra aver rinunciato all’idea che la sua funzione sia quella di dirigere la società, soppiantando questa idea con l’altra per la quale la società dev’essere assecondata. I partiti e le istituzioni politiche dovrebbero assecondare le spinte sociali evidenti, quelle che emergono dai sondaggi di opinione, dai dibattiti televisivi, dai social network. Figlie singolari di questo clima sono state le iniziative di due sostituti procuratori della Repubblica, il dr. Di Pietro e il dr. Ingroia, che rispettivamente nel 1998 e nel 2013, dopo aver lasciato la magistratura, hanno fondato due partiti politici, Italia dei Valori e Rivoluzione Civile, di modesta fortuna, entrambi ispirati al primato della denuncia penale nell’azione politica. Altre volte la magistratura penale ha rivestito il ruolo di esercito di riserva della politica: sono stati magistrati provenienti dalle Procure della Repubblica il primo capo dell’autorità anticorruzione, l’assessore alla legalità del comune di Roma, dopo la scoperta delle corruzioni nella città, il sindaco di Napoli, il Presidente della Regione Puglia; viene dagli uffici della procura di Napoli uno dei candidati a sindaco della città, e dagli uffici della Procura Generale di Roma una candidata a vicesindaco della città (elezioni comunali dell’autunno 2021). Alla dilatazione concettuale e pratica del ruolo della magistratura, soprattutto di quella penale e, all’interno di questa, delle Procure della Repubblica, non ha corrisposto, all’interno della istituzione, un parallelo sviluppo dei temi relativi alla responsabilità e all’etica della professione. La magistratura preferisce trattenersi sulla indipendenza e sugli attacchi che all’indipendenza sembrano muoversi da parte del mondo politico. Si tratta di giuste e condivisibili preoccupazioni. Ma la difesa della indipendenza sarebbe più convincente se accompagnata da altrettanto impegnate riflessioni sulla responsabilità e l’etica della professione. Non vanno sottaciuti alcuni sforzi. Ad esempio, sono lodevoli le pratiche di autoregolazione di alcune procure della Repubblica in materia di conferenze stampa, intercettazioni telefoniche, avvisi di garanzia. La Procura Generale presso la Corte di Cassazione sta concordando con le Procure Generali criteri di massima in materia di priorità nell’esercizio dell’azione penale. Nella stessa direzione si muovono le richiamate innovazioni introdotte nella Cassazione, nel Consiglio di Stato e nella Corte dei Conti per migliorare l’efficienza e la qualità delle decisioni. Si tratta tuttavia di iniziative che nel corpo della magistratura soffrono di diffidenza. La giustizia è potere e servizio, ma la seconda dimensione, quella del servizio, sembra fortemente indebolita nella attuale cultura professionale del magistrato. Spero di non esagerare se sostengo che in molte vicende si rivela l’assenza di una educazione civile adeguata al ruolo. È sembrato a volte che una parte della magistratura sia precipitata negli stessi vizi che sono contestati ai faccendieri e al personale politico dei partiti e delle istituzioni, addirittura con immedesimazioni nella volgarità della lingua e nei comportamenti più disdicevoli”.
Ora mi è chiaro cosa si intenda per condizione spirituale della magistratura e quali tratti caratterizzanti le abbia attribuito Luciano Violante. E continuo ad essere sorpreso, ma piacevolmente, che la sua voce abbia trovato spazio in una pubblicazione della SSM.

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