Il garbuglio di Garlasco di Gabriella Ambrosio: una chiacchierata con l’autrice (Vincenzo Giglio)

È da poco nelle librerie Il garbuglio di Garlasco di Gabriella Ambrosio.

Il libro è il frutto di una ricerca di anni sul tormentato iter giudiziario che ha portato alla condanna di Alberto Stasi per l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco, in provincia di Pavia, il 13 agosto del 2007.

Ho chiesto alla Ambrosio se volesse fare un chiacchierata con me attorno al libro e alla sua genesi e ha accettato.

Ci siamo sentiti al telefono, abbiamo parlato a lungo, le ho fatto domande e ho ascoltato le sue risposte.

La cosa curiosa è che l’intervistata ha fatto molte più domande dell’intervistatore sicché non saprei davvero chiarire chi ha intervistato chi e chi ha svelato cosa. Ma questa è un’altra storia e passo subito a raccontare ciò che Gabriella Ambrosio mi ha detto.

Mi interessava anzitutto capire la molla che l’ha spinta a interessarsi del caso di Garlasco.

D’istinto mi ha detto che era una questione di diritti umani e di ingiustizia.

L’ho un po’ incalzata su questo, chiedendole di spiegarmi cosa intendesse per ingiustizia.

L’ingiustizia – questo ha risposto – è il frutto di uno squilibrio che consente al più forte di vessare il più debole.

Ho voluto sapere chi, secondo lei, fosse il più forte nella giustizia penale.

Dopo avermi subissato di domande che tendevano a comprendere la natura della triangolazione classica del giudizio penale (accusa, difesa, giudice) e le sue possibili alterazioni, mi è sembrato che Ambrosio (ma non saprei dire se le mie convinzioni personali abbiano influito sulla sua opinione) propendesse a ritenere l’accusa la parte più forte, cioè quella che dispone di maggiore potere e dalla quale dipende in più larga misura l’esito del giudizio.

Una forza, quella dell’accusa, che è catalizzata e moltiplicata dal sistema massmediatico che trova in essa una “verità” elementare, facile e seducente per i lettori.

La conversazione a questo punto si è spostata sulla prospettiva adottata dall’autrice: non solo la questione dell’io narrante ma lo spazio riservato alle tante voci ascoltate e poi valorizzate nella storia.

Ambrosio sostiene di non avere privilegiato alcuna particolare prospettiva.

Ha iniziato perché incuriosita da alcuni slogan di facile presa utilizzati per scomporre il caso in pochi ed elementari frammenti (tra questi la definizione di “bocconiano dagli occhi di ghiaccio” costantemente riservata ad Alberto Stasi), le è sembrato che già questa riduzione in pillole contenesse i germi di una semplificazione incoerente alla complessità del caso, ha proseguito studiando capillarmente gli atti e attingendo ulteriori conoscenze e sensazioni da molti dei protagonisti della storia e da esperti esterni capaci di valutare la credibilità delle indagini tecniche.

Nulla di precostituito, nessuna posizione di partenza, nessuna tesi privilegiata. Questo secondo Ambrosio.

Ma abbiamo continuato a parlarne e, come era prevedibile, qualche soggettivismo è venuto fuori.

Simpatie e antipatie, interesse e mancanza di interesse, chimica positiva e negativa, tutto quello che gli incontri umani possono suscitare, a maggior ragione se con coloro che hanno partecipato a un giudizio in grado di toccare corde emotive assai profonde.

Non dirò più oltre di questo, chi legge Il garbuglio può farsi da solo la sua idea.

Cosa è rimasto a Gabriella Ambrosio della storia che ha narrato, quali effetti ha prodotto in lei?

Due parole bastano a spiegarlo.

La prima è paura.

Ambrosio ha detto di avere provato paura, non in termini personali naturalmente. È la paura di chi, membro di una comunità e soggetto a poteri istituzionali configurati in un certo modo, avverte che la giustizia può deragliare e trasformarsi talvolta nel suo opposto.

La seconda è curiosità.

È improbabile che Ambrosio scriva nuovamente di giustizia ma essa è entrata nella sua vita, nei suoi interessi, nella sfera della sua vigilanza. Continuerà a seguirla avendo compreso che il suo atteggiarsi è influente nella vita di ognuno.

Questo è quanto mi ha raccontato Gabriella Ambrosio e io lo racconto a chi vuol leggere.