
La sesta sezione penale della Corte di cassazione ha ritenuto che “non può essere fatta valere come ipotesi di revisione la sopravvenuta inutilizzabilità delle intercettazioni poste a fondamento della decisione, derivante da un mutamento giurisprudenziale successivo all’irrevocabilità della sentenza, dovuto a un intervento delle Sezioni Unite, non trattandosi di una fonte di diritto, ma del risultato di un’evoluzione esegetica di per sé inidonea a travolgere il giudicato”.
Il collegio di legittimità ha affermato infatti che “La questione, peraltro posta dal ricorrente in termini indeterminati, allude alla possibilità di immaginare un ‘percorso’ giurisprudenziale analogo a quello che ha condotto alla modifica della disciplina della revisione attraverso l’introduzione, per effetto della sentenza manipolativa a contenuto additivo n. 113 del 2011 della Corte costituzionale, di una nuova ipotesi di revisione, c.d. ‘europea. Si tratta, tuttavia, di una fattispecie processuale nettamente differente da quella oggi in esame, in quanto – come noto – la Consulta attivò quell’eccezionale ‘meccanismo’ di adeguamento del sistema processuale penale italiano in ragione dell’esigenza di garantire, attraverso il ‘filtro’ dell’art. 117 Cost., una reale effettività all’obbligo dettato dall’art. 46 CEDU che impone agli organi dello Stato membro di conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo laddove la stessa comporti la necessità di una riapertura del processo penale: circostanza, quest’ultima, assente nel caso di specie. Opzione esegetica, quella privilegiata in questa sede, che, dunque, non si pone in contrasto con i diritti garantiti dagli artt. 6 e 7 CEDU, restando a carico della parte interessata l’onere di far eventualmente valere le proprie ragioni dinanzi alla Corte di Strasburgo allo scopo di ottenere una specifica sentenza che possa legittimare, a norma della richiamata disciplina, come ‘ridisegnata’ dalla Corte costituzionale, l’attivazione dello strumento della revisione della sentenza di condanna”.
In conclusione: la giurisprudenza non è una fonte del diritto, i suoi mutamenti in ipotesi favorevoli al condannato non sono equiparabili a mutamenti normativi, chi vuole far valere le sue ragioni vada a Strasburgo e provi a convincere i giudici europei dei diritti umani.

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